10 anni fa il finale di Lost: l’identità a spasso nel tempo
Il 22 settembre 2004 va in onda la prima puntata di Lost.
Il 23 maggio 2010 va in onda la sua ultima puntata.
Sperduti su un’isola chissà dove nell’oceano, i sopravvissuti di un disastro aereo sono costretti ad attendere i soccorsi che forse non arriveranno mai. Abituati a vivere in una moderna civiltà tecnologica, si ritrovano costretti a sopravvivere su un’isola tropicale, abitata, sembra, da qualcosa (qualcuno?) che dà loro la caccia. I misteri si moltiplicano. Ognuno dei sopravvissuti cerca un suo posto in quella mini società dei sopravvissuti che si sta costruendo. Ognuno sembra avere un preciso ruolo, ma le loro personalità sono ben più complesse, e sospetti e malintesi si insinuano fin da subito nella nascente comunità. Ognuno dei personaggi ha un passato, raccontato attraverso il flashback, che ne illumina il suo comportamento sull’isola, cambia il giudizio che lo spettatore si era fatto su di lui, ci svela chi era e chi vorrebbe essere. Dalla quarta stagione sette personaggi possiedono anche un futuro, raccontato con il flashforward. Nell’ultima stagione invece vengono introdotti i flashsideways: vite possibili o un universo parallelo? Niente di tutto questo, bensì un limbo dopo la morte.
Lost gioca con il tempo come linguaggio (flashback, etc), come tema e racconto di genere (il viaggio nel tempo), come metafisica, portandoci infine là dove il tempo non esiste (l’aldilà). E’ un incredibile viaggio per i personaggi e per gli spettatori, perché gioca con le vite dei primi e dei secondi. L’isola è solo un pretesto, il suo mistero e tutti gli altri misteri sono solo un immenso McGuffin alla Hitchcock: servono per mettere in moto fisicamente i personaggi, ma quel che conta è il loro movimento emotivo. Lost è un puzzle in cui perdersi, e i cui pezzi non combaciano mai del tutto. Come nella vita.
Scomponendo la vita dei personaggi in frammenti temporali, ci viene mostrato in maniera complessa il loro arco di trasformazione o svelamento, come cioè quel che accade può mutare il loro io o portare alla luce un io nascosto. Ma questo io non è ma fisso, non è mai sicuro, perché i pezzi del passato o del futuro o del presente, i pezzi di vita di ciascuno, cozzando tra loro fluttuano di significato, continuamente. E dunque alla domanda delle domande – caos o destino? – è impossibile rispondere. E se i personaggi durante le stagioni cercano continuamente di “fissare/aggiustare” qualcosa o qualcuno (to fix è uno dei verbi più ripetuti), noi capiamo alla fine che è impossibile fermare il turbine. La nostra vita come quella dei personaggi può sembrare caos o destino a seconda del punto di vista, a seconda del momento, a seconda di come la si racconti. Solo quando il tempo non esiste più allora sei “fissato” una volta per tutte.
Se siete ancora lì a dire “il finale non mi è piaciuto, non mi ha spiegato tutto, non era come lo volevo io” avete ragione. Ma è perché pensate ancora di poter aggiustare tutto. Di poter avere risposte uniche, precise, secche. Di poter vedere il puzzle compiuto. Di avere un io fissato una volta per tutte. Ma dipende: una volta è caos, una volta è destino, un’altra volta tutte è due le cose.