Sanremo 2020 la finale. Vince Diodato. W il brand!

Sanremo 2020 la finale. Vince Diodato. W il brand!

Sanremo 2020 finale. Vince Diodato. W il brand!

W Sanremo! Premessa: il brand Festival di Sanremo è forte. In questi ultimi dieci anni, soprattutto a partire dall’edizione del 2013 di Fabio Fazio, si è fatto un lavoro sul Festival importante. Progressivo svecchiamento della musica, allargamento sul pubblico giovane, modalità narrative nuove, ricerca del nazionalpopolare in senso moderno, anche pop. Scrittura calibrata dello show a livello di struttura e di regia, con un dosaggio di varità e gara, Tv e musica. La gara è ridiventata spettacolare, con una capacità di dosare le varie modalità di voto. Complici i social poi, Sanremo è diventato di nuovo memoria condivisa non più solo col nucelo famigliare. Certo, non sempre tutto è stato ben calibrato: il secondo Fazio e il secondo Baglioni hanno sofferto, Conti spesso è stato fin troppo idefinito nell’utilizzare ingredienti di tutti i tipi. Eppure, Sanremo è ridiventato un appuntamento immancabile e intergenerazionale. Ha conquistato anche i giovani italiani, e seguirlo tanto per amarlo quanto per sfotterlo è ormai ovvio. Si organizzano gruppi di ascolti pure nei locali.

Dunque, quello che la Rai dovrebbe fare è raccontare Sanremo come brand, e di successo (sul concetto di Sanremo/brand ecco Eddy Anselmi). E non solo per gli ascolti. Anzi, al di là degli ascolti. Mi spiego meglio: Sanremo ha sempre risultati molto alti (nonostante la frammentazione mediale attuale). Certo, con delle variazioni, come il Fazio 2 e il Baglioni 2. Ma il suo valore non cambia anche se ci sono queste variazioni. E non cambia nemmeno quando i risultati sono anche più alti, come per Amadeus. Il brand Sanremo è il brand Sanremo. E’ una forza che adesso andrebbe data per scontata. Gli ascolti variano, certo, e bisogna sempre capire perché, ma appoggiarsi solo a queste variazioni se in basso per amazzare uno show è insensato. Ma è anche insensato usare variazioni verso l’alto per giustificare tutto. In primo luogo, è come se ogni anno si mettesse in discussione Sanremo, e invece la sua penetrazione sociale è di nuovo forte. In secondo luogo, quando tutto va benissimo, Sanremo diventa intoccabile. I numeri giustificano ogni scelta artistica e linea editoriale, come per il consenso o i sondaggi. Un limite. E terzo ogni conduttore di Sanremo è sottoposto a un ricatto: non solo deve fare meglio del precedente, magari spingendo certe corde narrative verso il basso, ma soprattutto teme il confronto con se stesso. Un Amadeus bis, il prossimo anno, facesse qualche punto in meno, che trattamento riceverebbe (vedi Fazio e Baglioni)? O boom o flop: il discorso è distorto per un brand che parte ormai da un valore consolidato. Facendo un esempio: possiamo discutere se la collezione Gucci 2020 è meglio e peggio dell’anno prima, ma sempre Gucci rimane.

Detto dunque questo, detto che Sanremo è Sanremo perché è brand pregiato Rai, si può ragionare più serenamente su questa edizione di Amadeus:

– Narrazione: Amadeus ha scelto di mettere tutto, soprattutto il tutto che piace al pubblico più largo di Raiuno. Nel mettere tutto, è andato avanti di accumulo, con un allungamento dei tempi. Che non significa solo andare tardi a letto, ma spesso vedere la gara canora mangiata dallo spettacolo e lo spettacolo che si affloscia e perdere ritmo. Alcuni elementi potevano essere usati meglio (Ferro) altri potevano anche non essere della partita (invece di dieci donne ne bastavano la metà, Rula, Clerici, Salerno, Venier, Vejsiu)

– Conduzione: in realtà spesso pareva più una coconduzione con Fiorello, il che ha dato ad Amadeus un enorme vantaggio in termini di curiosità E pubblico. Ma la voglia di improvvisazione del secondo, che spesso gli fa perdere tono, ha spesso fatto deragliare il ritmo dello show, come visto soprattutto nella seconda serata e durante la coda del finale (da 10 minuti a 30)

– Scrittura: l’accumulo non sceglie, il buffet è ricco ma diventa ingordigia. Se alcune modalità sono diventate ormai tipiche di Sanremo (il monologo, il siparietto di varietà misto, la presentazione di un film o altro come momento spettacolare) è anche vero che la loro gestione per accumulo ha reso queste modalità spesso pesanti, infinite, improvvisate. Mal scritte. Talvolta imbarazzanti. Qua e la ripetitive. La finale poi, con i voti già elaborati e la coda finale lunghissima e non tagliata quando SkyTg24 aveva rotto l’embargo e la notizia si diffondeva, è stata assurda. Se solo ci si inventasse un modo di dare la classifica che sia spettacolare come all’Eurovision…Ad un certo punto è saltato tutto, scaletta sconvolta, lancio del Tg, fischi, e ripresa dei premi dati uno dietro l’altro, lanciati tipo magliette in discoteca. Ecco, questa improvvisazione sulla scrittura e la struttura è ridicola.

– Regia: troppo spesso il lato visivo del festival ne ha risentito, ed è un vero peccato dato che in questi anni si era cercato una maggior cura. Talvolta più che varietà, pareva Tv del dolore: ma non perché su quel palco certi temi non ci debbano essere, ma perchè per il modo in cui sono stati presentati, scritti, diretti, sembravano più vicini a certa Tv del pomeriggio. Il che allarga il pubblico, ma il brand Sanremo potrebbe provare ad andare oltre certe ansie.

-Musica: varia, interessante, che ripesca il meglio e il nuovo visto negli scorsi anni. Il podio ha confermato il ricambio: Gabbani, Diodato, Pinguini. Non solo Achille Lauro, anche molti altri cantanti si sono giocati bene il palco e pure la platea, segno che l’esibizione diventa sempre più una performance. E bene anche l’idea ormai che Sanremo sia il momento dei medley dei big e delle reunion (anche se Al Bano e Romina ormai sono quasi presenze fisse…)

– Polemiche: ci sono state prima, eccole. E poi ecco come l’elemento femminile è stato davvero raccontato in maniera vintage, e poi ecco  Fiorello e Morgan vs Ferro e Bugo. Piccolo sospetto. La cosa interessante è che Amadeus (fortunato!) non si è beccato l’isteria da governo appena in carico e nemmeno, avendo La Lega perso in Emilia Romagna, quella da campagna elettorale, come per Fazio o Baglioni. Anche in sala stampa, c’erano meno punzecchiature, quelle che di solito da destra colpivano i conduttori di sinistra…

Ha vinto Diodato, evviva!

Sanremo è brand, Sanremo è Sanremo, possiamo ragionarne magari più laicamente. Senza tifo pro o contro. Ma forse tutto questo non è cosa da questa epoca. O da italiani. O da Sanremo?