American Factory, la vera guerra: il lavoro e i diritti

American Factory, la vera guerra: il lavoro e i diritti

Dimentichiamoci tutto. Zalone non capito da nessuno, Meghan o sfigata femminista o femminista geniale, Rita Pavone vs Rula Jubrael, Iran e Usa letti come se fosse l’11 settembre, scrittori furbi vs book influencer donne…

Dimentichiamoci di come oggi tutto sia raccontato, letto, interpretato esclusivamente in chiave populista, quindi secondo un linguaggio tribale (spesso anche da chi si sente molto liberal e liberale). Sinistra contro destra, si direbbe. In realtà è più un “Io ho ragione perché tu sei una merda” o nella versione più sofisticata “Sì, ti ho dato della merda, ma tu che mi accusi di averlo fatto sei un censore, quindi sei più merda di me”. Ormai è pensiero non bipolare vs resto del mondo. E ha vinto il resto del mondo. Il dibattito pubblico è morto. La complessità idem. E il giornalismo ormai non dice cosa accade e perchè, ma “chi è giusto” secondo parametri a casaccio.

Per fortuna ci sono ancora le narrazioni complesse, in forma di fiction e di documentario. Nel primo caso, un esempio è The Morning Show (Apple Tv): dopo anni di dibattito sul #metoo, spesso in forme bipolari (soprattutto in Italia, dove si è capito nulla o quasi di quanto stava accadendo), la serie con una strepitosa Jennifer Aniston mostra tutte le complessità, doppiezze, ambiguità del problema, pur con un finale magari fin troppo trionfale.

Sul versante documentario, possiamo dimenticarci le tribù e preoccuparci di altro.  Delle reali sfide a lungo termine. Di quelle sfide poi che minano davvero le idee di destra e sinistra, e i pensieri delle persone, sempre più confuse. Lo lotta è Usa vs Cina, di Occidente vs Oriente. Ed è sul lavoro.

American Factory è un documentario su Netflix (candidato all’Oscar, 13 gennaio, ndr). Prima produzione della Higher High Productions dei coniugi Obama.

“Quindi un prodotto di sinistra!” (cit.)

No, o anche sì, nel senso che è un prodotto sulla situazione dei lavoratori americani,  e non solo. Un prodotto complesso. L’ho recuperato (è on line già da agosto) grazie al suggerimento di un mio collega, Giovanni Cocconi.

Dayton, Ohio. In un ex impianto della General Motors, la cui chiusura è costata molti molti posti di lavoro, arriva la Fuyao, cinese. Per molti operai americani è un sogno: si torna a lavorare. Per i cinesi idem: è dimostrare la loro forza. Solo che…. Solo che il capitalismo cinese del partito comunista è più crudele di quello americano, perché non tiene conto per ragioni storiche, ideologiche, culturali delle lotte sindacali occidentali. Non ci sono regole, c’è lavoro perpetuo e costante, nessuna sicurezza. C’è l’ideologia collettiva cinese del sacrificio. Ci sono le regole del partito. C’è la fabbrica come famiglia, che pare talvolta bello eh, finchè non capisci che quella famiglia è piuttosto tirannica. “Siete pigri. Avete ben 8 giorni di riposo al mese. Gli operai cinesi solo due” spiega il caporeparto cinese a quello americano, che annuisce. C’è l’operaio cui non è mai capitato un incidente sul lavoro, e che dopo qualche mese nella nuova fabbrica da sogno si trova con una gamba ustionata. Le lezioni dei capi cinesi ai dirigenti cinesi sono da manuale del pregiudizio e dello sfruttamento: “I genitori americani curano troppo i loro bambini. Fate dei complimenti agli americani. L’asino va accarezzato”. Si tenta di fondare un sindacato, ma gli operai vengono intimoriti e non se ne fa nulla. E però è anche vero che meno male che ci sono i cinesi, altrimenti nessun lavoro. Il CEO però ha qualche dubbio: “La Cina era povera quando ero bambino. Ora ho fondato tante fabbriche, ma ho un senso di vuoto, se avessi distrutto l’ambiente?”.

Oggi la Fuyao è in attivo.

Paga sempre i suoi dipendenti 14 dollari l’ora (molti prima ne prendevano il doppio)

A fine documentario però arrivano le macchine.

Il caporeparto cinese spiega mostrando diversi punti della fabbrica che lì, lì e pure lì metterà altri bracci meccanici, e eliminerà almeno due operai a braccio. E no, non credo proprio che gli operai si trasformeranno tutti in “creatori di bracci maccanici 4.0”.

Una distopia che è già realtà.

Come sarà il lavoro nel futuro? Ci si dovrà piegare per crisi, paura, furbizia altrui al capitalismo (comunista) cinese senza diritti? E in un futuro un po’ più lontano al potere delle macchine? Cosa significano in questa situazione destra e sinistra?

Intanto gli Obama dimostrano di avere un occhio ancora complesso sul reale.