19 Novembre 2019
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Peaky Blinders e The Irishman: Storia e malavita
Voglio dichiararlo subito: sono arrivata un po’ in ritardo, ma sono pazza dei Peaky Blinders. E ovvio di Thomas Shelby. Lo zingaro e poi soldato che volle farsi Re, tra follia e controllo, genio e depressione. Eh già: come Tony Soprano o molti altri cattivi delle serie Tv soffre del male oscuro (mica come Walter White, che è solo un frustrato). Thomas Shelby (un Cillian Murphy pazzesco) è il gangster bello come un Dio greco e tormentato come un Eroe moderno, che dà vita a un’epica sopra le righe della malavita tra le due guerre, ma anche a una sorta di Storia oscura dell’Inghilterra. Ed è questo uno degli elementi più interessanti, e che lo legano a The Irishman. E non è l’unico (attenzione spoiler):
- Il De Niro di The Irishman è un soldato. Lo è nella sua carriera da malavitoso, ma ha imparato a esserlo durante la Seconda Guerra Mondiale. Tom Shelby idem: è stato soldato nella Prima Guerra Mondiale, comandante, pluripremiato pure. Ha combattuto sottoterra scavando trincee ed aspettando la cavalleria, quella dei “nobili e boghesi”, che non arrivava mai. E dunque tornato a casa sa benissimo come fare la guerra, e come farla per diventare un cavaliere perché vuole essere ricco e rispettato.
- La guerra appunto. Una cesura insormontabile. Tom e i suoi fratelli non possono dimenticare. La guerra torna sempre, non se ne esce anche quando fai di tutto per. In questo, Peaky Blinders è una saggio storiografico perfetto sul quel periodo, travestito però da gangster movie. Scorsese anche mostra come il legame tra De Niro e Joe Pesci si perfezioni grazie ai racconti di guerra. Ecco allora il flashback di De Niro che soldato fa scavare la fossa ai due nazisti e poi li uccide, chiedendosi come sia possibile che un condannato a morte scavi la sua tomba: “Pensavano che se avessero fatto un buon lavoro li avrei risparmiati?”. Dalla guerra non si torna, e si apprende il peggio.
- O il meglio. Il buon soldato fa il suo lavoro, e obbedisce alla gerarchia. Punto. Lo sa Tom, e lo sanno i suoi compari. Non è un caso che la ribellione arrivi, nell’ultima stagione, dalla generazione giovane che non solo (e anche giustamente) vede il futuro diversamente, ma che non avendo fatto la guerra di quella follia mentale e di quella gerarchia non sa che farsene. Il buon soldato fa il suo lavoro sempre, lo sa anche l’irlandese, quando uccide il suo amico Hoffa. Non c’è ribelione, si fa il proprio lavoro come dicono gli altri. Ci si scava pure la propria fossa in alcuni casi.
- La guerra crea identità e le fa esplodere. La guerra al fronte unisce gruppi di uomini ben diversi tra loro, e li unisce per sempre. Per poi dividerli di nuovo una volta tornati a casa. Tom può dialogare con altri gangster ricordando la guerra e trovare così appoggio per i suoi piani. Eppure non c’è da fidarsi, perchè l’appartenenza al proprio gruppo di origine è sempre più forte. De Niro ha imparato l’italiano perchè è stato in guerra in Italia, e questo crea un doppio senso di fiducia in Joe Pesci. L’italinità della mafia in America è granitica, a tratti quasi grottesca: Scorsese non dà ai suoi personaggi alcun fascino. Peaky Blinders mostra zingari ganster, italiani gangster, ebrei gangster. Tutti hanno le loro peculiarità. La mafia italoamericana di origine siciliana messa in scena da Adrien Brody nella quarta stagione non è certo la mafia italiana inglese. Sono tutti però elegantissimi, ma forse un po’ pacchiani. Brody si lamenta che in Inghilterra tutti parlino della guerra, già. Perchè per lui, e per l’America, la Grande Guerra non ha avuto lo stesso effetto. Tom e gli altri sono zingari invece hanno servito il Re rischiando la vita per anni, e adesso non vogliono più tornare a essere zingari. Niente nomadismo, basta fughe. Ma è possibile se ce l’hai nel sangue? E poi c’è Tom Hardy, il gangster ebreo, un filosofo dalle metafore eccezionali, che però anche se deve aiutare Tom contro i fascisti vuole essere pagato. E i Russi? Pazzi, pazzi, pazzi. Peaky Blinders usa tutti gli stereotipi delle diverse etnie europee per ribaldirli e ribaltarli, in un gioco continuo e costante.
- Tom Shelby è un gangster, eppure anche e sempre un soldato al servizio di sua Maestà. Lo fa perchè così ottiene licenze e soldi, o lo fa anche per senso di giustizia? O lo fa anche perché da quella idea di sevire il proprio paese, quella che lo spinse ad arroluarsi giovanissimo, non si è mai del tutto emancipato? Tom Shelby è Ercole, ha combattuto non solo altri gangaster, ma nell’ordine: la polizia corrotta, l’Ira, il controspionaggio, la nobiltà russa, i controrivoluzionari, i comunisti, suore stronze (ah, sì), la mafia italoamericana, il fascismo. Peaky Blinders è una Storia nera dell’Inghilterra fra le due guerre. Come The Irishman è una storia nera dell’America nel secondo dopoguerra. Solo che Tom è agente attivo, l’Irlandese è passivo, sempre e comunque, non ha una sua visione. Resta manovalanza pur accedendo alle alte sfere. Tom, il depresso, si rende conto. L’Irlandese no, niente rimorsi pare, nemmeno alla fine.
- Storia nera, sì: perchè la Storia non è mica solo pulita, ha tante facce. In The Irishman la visione è solo negativa, perché malavita e politica si fondono solo ed eslusivamente per tornaconto. In Peaky Blinders c’è più doppiezza, c’è lo Stato che sfrutta Shelby e Shelby che sfrutta lo Stato, entrambi agenti della Storia. Talvolta terribili, talvolta assurdi, talvolta nel giusto. Nell’ultima stagione Tom Shelby cerca di combattere il fascismo inglese con i suoi metodi “sotteranei”, e Churchill approva. E noi idem.
- Peaky Blinders riesce così, nella sua ultima stagione, a farsi metafora del presente: quando Oswald Mosley, personaggio storico realmente esistito, dice “British First” e che la stampa è piena solo di “false news”, beh, eccoci qua, ecco il nostro oggi nel nostro passato. The Irishman invece rimane lontano dall’oggi, ma Scorsese vuole raccontare proprio un altro mondo. Un mondo ormai finito.
- Tom Shelby è giovanissimo quando inzia la sua ascesa. E lo è ancora alla quinta stagione. Eppure inzia a sentire la stanchezza degli anni. Ma Peaky Blinders resta comunque un’epica ganster giovane e vitale. Anche nello stile visivo, ovviamente sopra le righe, eccessivo, pulp. Uno stile che, con le dovute differenze ovviamente, Scorsese ben conosce, e che l’ultima volta ha usato sul corpo giovane di Di Caprio in Wolf of Wall Street. The Irishman è invece un classicone, dal ritmo spesso pesante appoggiato su corpi vecchi falsamente ringiovaniti e successivamente invecchiati ancora. E’ una non-epica di gente orrenda che invecchia orrendamente.
- Ah le donne, certo. In Peaky Blinders sono pazzesche. Forti, folli, vitali: zingare, zarine, sindacaliste, prostitute, spie, ferventi credenti sotto cocaina. Indipendenti, sì, con qualche limite. Questo perchè la narrazione seriale permette ben più personaggi e ben altri sviluppi. E anche perchè gli anni tra le due guerre furono molti liberi. Scorsese, si sa, ha dovuto affrontare alcune polemiche circa l’uso delle figure femminili nel film. Fanno poco, dicono poco. Sì. Ma erano altri anni, ed era la mafia italoamericana ben più repressiva. E pure l’America mica era così libera. Eppure sono loro il punto etico del film. Più l’irlandese diventa una bestia, più la figlia lo guarda muta per condannarlo. Il femminile, per di più giovane, condanna il vecchio e orrendo mondo. I film non si misurano solo in quantità delle immagini, ma anche in qualità e in simbolismo.
- The Irishman l’ho visto al cinema, scomodamente. Sala orrenda, primissima fila, intervallo. Così si ammazza il cinema, doppiamente. Arriverà su Netflix. Peaky Blinders è BBC ma in Italia è su Netflix. Il primo è finito, stop, è un film! Il secondo, mio dio, sto impazzendo: quando esce la prossima stagione?