The Good Doctor, il nuovo House?
Stasera su Raiuno un piccolo grande evento: dopo anni, forse decenni, torna in prima serata una serie americana di qualità, The Good Doctor. Finora la Rai aveva dato spazio alla serialità soprattutto sulle altri reti, salvo qualche titolo di basso profilo buttato a casaccio sempre d’estate. Adesso invece ecco sulla prima rete un grande successo di questa stagione in onda sulla ABC. Perché sì, siamo tutti qui a parlare di serie coi robot e serie con le ancelle e serie in streaming, ma poi i grandi numeri sono altrove. E spesso anche la grande scrittura seriale, compatta e densa, capace di andare avanti per decenni: il vero obiettivo della Tv generalista.
La serie è il remake di un drama coreano, e mette al centro un ragazzino autistico ma sapiente. Naturalmente, deve di volta in volta superare i suoi problemi relazionali, e la sua giovane età, per fare emergere la sua grande sapienza. Un po’ come accadeva, a parte per l’età, al Dr. House. Non a caso l’autore è lo stesso, David Shore.
Come in quel caso, un medical drama di successo viene testato da noi in prima serata durante l’estate. Chissà se The Good Doctor sarà quello che House fu per Mediaset. La scoperta insomma che se spinta bene certa serialità americana ha un suo peso anche da noi. Certo, con House furono fatti poi errori madornali di programmazione, sposandolo da Italia 1 a Canale 5 e persino a Premium. La Rai parte subito dall’ammiraglia: scelta coraggiosa ma anche difficile. Vedremo.
Qui sotto parte dell’intervista che feci a Ali Attie, sceneggiatore tanto di West Wing quando poi di Dr. House
Come ha affrontato questo show medico atipico e il suo protagonista?
House per molti versi è stato l’anti-The West Wing. Per scherzo dicevamo che a The West Wing si sarebbero viste cose che capitavano solo in The Brady Bunch: personaggi che agivano alle spalle degli altri per fare qualcosa di buono. House rappresentava un punto di vista più cinico e scettico sul comportamento umano. Quindi penso di essermi avvicinato a House da quella prospettiva: invece di cercare di elevare o glorificare ciò che le persone sono in grado di fare, come per The West Wing, come faccio a trovare storie e momenti che espongono e chiariscono le fragilità umane e i difetti? È stato interessante passare da una prospettiva all’altra.
Com’è stato lavorare con David Shore rispetto alla sua collaborazione con Sorkin e Wells per West Wing?
House, come l’era di Wells in The West Wing, era fondamentalmente uno show di molti scrittori – per ogni script non solo si raccoglievano appunti e idee da David, ma si finiva anche per fare le revisioni finali insieme a lui. Così ha assicurato la coerenza della serie, e la voce di House. Inoltre, David è uno scrittore molto, molto intelligente e divertente, di solito migliorava le cose. Quindi ho molto apprezzato lavorare con lui, che e` ancora un buon amico (come lo sono Aaron e John). Ti sprona, ti sfida, e ti aiuta a tagliare il traguardo. Penso di aver scritto le mie migliori sceneggiature di House in un secondo stadio durante il mio lavoro allo show, perche?L a quel punto conoscevo le idee di David molto bene. Ho potuto apportare il mio contributo ma anche, in un certo modo, incanalare il suo.
In The West Wing si tratta di fare il meglio, i personaggi cercano di elevarsi. House fa del suo meglio, ma non vuole stare meglio, ha una visione negativa della natura umana… Lei pensa che The West Wing e House rappresentino due facce degli Stati Uniti?
Credo che rappresentino due facce diverse non solo degli Stati Uniti, ma dell’uomo. Abbiamo tutti quei “migliori angeli della nostra natura”, come diceva Lincoln. Ma tutti abbiamo anche lati oscuri e complessi. Certo, in House ci sono stati momenti elevati, come pure passaggi oscuri e tormentati in The West Wing. Ma alla fine, The West Wing era pura aspirazione, mentre House era profondamente cinico. Basti pensare alle frasi tipiche dello show: “Prospettive”, nel senso di Bartlet, a significare cos’altro possiamo realizzare, quanto più possiamo essere d’aiuto (una frase che appare effettivamente in Tanner ‘88), e il motto di House “Tutti mentono”, che è piuttosto desolante, credo. Ed entrambi sono validi e veri.
House è più di un medical drama: è come un grande ritratto di un singolo personaggio. Racconta la sua incapacità di essere felice, la sua malattia spirituale… Come ha modellato il personaggio durante le stagioni?
Sì, House è davvero incentrato su House. Un uomo a pezzi che non può affrontare il mondo, non può impegnarsi a livello emotivo, nonostante il suo spirito brillante e il suo successo umano e professionale. Abbiamo affrontato molte storie mediche chiedendoci cosa queste avrebbero potuto raccontare su House. Quali questioni sollevate dai pazienti potevano insegnarci qualcosa di nuovo sul personaggio principale? Abbiamo passato molto tempo in gruppo pianificando cosa sarebbe successo ad House con il procedere degli episodi – seduti nella sala degli sceneggiatori a rivedere insieme le nostre idee, oppure in piccoli gruppi che poi si confrontavano con David –, ma credo che ogni singolo episodio sia diventato un suo ritratto. In alcuni casi è stato merito della straordinaria performance di Hugh Laurie. Hugh è davvero un genio, uno dei più grandi attori con cui ho avuto la fortuna di lavorare. Anche se una scena è un ammasso di gergo medico, c’è sempre tanta emozione, intelligenza e volontà nella sua espressione. Recita quelle scene con un tale senso di vita, di divertimento e intensità che si rimane inchiodati allo schermo.
House è un mix tra un medical drama e il classico Sherlock Holmes. Come ha fatto a combinare questi due elementi?
Direi che è molto più vicino a Holmes che a un medical drama più tradizionale come E.R. o Chicago Hope: a parte alcune eccezioni, non abbiamo esplorato questioni mediche al di fuori dei confini del mistero medico settimanale. E` divertente, perché all’inizio del mio lavoro ad House, ho cercato di avvicinarmi alla serie come facevo con The West Wing: esistono concetti interessanti in medicina che posso esplorare? Possiamo insegnare al pubblico ciò che i medici vivono ogni giorno? Quello che ho scoperto è che, con alcuni elementi di questo tipo dentro le storie, la serie è principalmente incentrata su un mistero “holmesiano”, con questo straordinario personaggio che causa ogni sorta di caos lungo la strada. Il mistero medico era una bestia affamata di storie. Questo penso sia vero per un sacco di serie procedural: se il mistero non procede in modo costante (se cioè si inseriscono troppe scene slegate da questo) si creava un problema enorme, altre scene andavano tagliate. A volte bastava semplicemente inserire il mistero medico nella storia di un personaggio, ma non si poteva metterlo da parte per troppo tempo. Il più grande atto di bilanciamento per me come scrittore era mediare tra l’irriverenza di House e i casi medici di vita o di morte della serie. Da una parte il dolore di una famiglia in una scena, dall’altra House che riempiva palloncini d’acqua nella scena dopo. In definitiva, penso che fosse tutto come la vita stessa, ed è bello che lo show potesse contenere quella gamma di materiali. Ma si doveva stare anche molto attenti a non privare la storia drammatica del suo impatto.
Come si articola il suo approccio al processo di scrittura? Come fa a unire la trama principale, i temi e i personaggi tutti insieme?
La cosa divertente, e forse deprimente, è che, ora che ho scritto sceneggiature per più di un decennio, non ho ancora un’idea chiara su come possano originarsi certi racconti. Credo di capire cos’è una storia, unisce tante cose allo stesso tempo: trama, motivazione, emozione, un certo punto di vista. Una di queste può essere il nocciolo di un racconto che avrò voglia di scrivere, e quindi mi limiterò a costruire il resto intorno a questo fulcro. Ma ogni volta che fisso uno schermo vuoto, non so assolutamente da dove arriverà la storia, e spesso ho l’impressione che non arrivi proprio. Penso: «Come ci sono riuscito?». Riguardo una vecchia sceneggiatura e penso: «Oggi non la potrei scrivere«. Perché hai a che fare con così tanti elementi, e ci vuole davvero tanto duro lavoro per unirli tutti insieme, e per questo quando inizio sembra proprio impossibile. Penso che molti scrittori abbiano questa stessa sensazione. Tuttavia, inevitabilmente, arriva qualche idea. Una volta, in House, si raccontava la storia di un genitore che doveva scegliere tra i suoi due figli – sembrava un grande, straziante, conflitto emotivo da affrontare per chiunque, ed è diventato l’episodio “Selfish”. In un’altra circostanza, si trattava di un’idea che avevo letto in un libro di psicoanalisi, in sostanza che tutti i genitori rovinano i loro figli, ed è diventato l’episodio “Parents”. In The West Wing spesso con piccoli concetti di politica, o cose che mi erano accadute personalmente. Quindi direi che tutti questi elementi sono fondamentali, ma bisogna iniziare da qualche parte per poi costruire da lì. Io lavoro meglio se devo rispettare una deadline molto ravvicinata, così non ho tempo di mettere in discussione le mie scelte e posso solo impegnarmi sulla prima buona idea che mi viene in mente. Tuttavia e` sempre un processo che un po’ mi spaventa. Il mio sospetto è che, se questo processo non ti spaventa un po’, allora non stai sfidando te stesso, e quindi probabilmente non stai lavorando bene.