40 anni di Goldrake: come ci cambiò
Tutta una generazione sta cantando la sua nostalgia canaglia, dicendo che beh i bambini di oggi non possono capire. Insomma, quelli accusati allora di essere bimbiminkia (anche se il termine ancora non esisteva) accusano le nuove generazioni di essere bimbominkia. Ah, quando si diventa vecchi si diventa lamentosi.
Comunque, il 4 aprile 1978, 40 anni fa, la messa in onda della saga robotica nipponica di Goldrake portava in Italia una serialità diversa e complementare a quella americana. Allora lo si capì poco, accusando gli anime di essere violenti e sessualmente espliciti. In realtà erano prodotti pensati per fasce di pubblico differenti, soprattutto adolescenti e giovani, visto che in Giappone l’animazione non è solo cosa per bambini.
Non solo: allora si paragonava uno stile animato “limitato” (pochi movimenti, primi piani, zoom), dovuto agli scarsi mezzi della Tv, all’animazione “fluida” del colosso disneyano, accusano ovviamente i Giapponesi di scarsa qualità. Era invece solo un modo diverso di fare animazione, che negli anni ha saputo sfruttare al meglio le sue peculiarità, concentrandosi su sceneggiatura e regia, e contagiando anche le serie animate americane.
Inoltre, Ufo Robot Goldrake significò l’introduzione di prodotti capaci mutare il modo stesso di consumare la Tv, forse in maniera più profonda dei telefilm di allora, composti da episodi narrativamente chiusi. La serialità estrema degli anime infatti creava una forte fidelizzazione, e ci ha aiutato ad apprezzare successivamente serie mature come Lost o Trono di spade. E poi i sentimenti messi in gioco creavano forti passioni, le storie complesse portavano alla nascita di un nuovo immaginario di riferimento.
Per spiegare l’influenza dell’animazione nipponica da un punto di vista sociologico, resta ancora valido un poderoso saggio uscito anni fa, Il Drago e la Setta di Marco Pellitteri (Tunué), già autore di Mazinga Nostalgia. Storia, valori e linguaggi della Goldrake-Generation. Il Giappone, attraverso manga, anime, videogame, avrebbe infatti veicolato in Occidente tre macromodelli culturali: la macchina (la tecnologia, l’androide), l’infante (l’estetica del kawaii, del carino e delizioso, eternamente giovane), la mutazione (continua metamorfosi a più livelli di personaggi, estetiche, temi, pratiche mediali, rapporti tra generazioni). Goldrake insomma era solo la punta dell’iceberg che ci venne addosso, e ci influenza ancora adesso.
Che anime e manga siano ancora un immaginario molto vivo lo dimostra anche una piccola esperienza personale: durante la visione di Ready Player One ho fatto un salto sulla sedia di fronte al “rifacimento” di Shining certo, ma anche durante l’apparizione di Gundam e la citazione di Dragon Ball. Kubrick e Goku ancora oggi, a quasi 40 anni (quasi eh).